Nel XIII secolo cominciarono a diffondersi i primi
orologi meccanici: erano macchine che funzionavano grazie a dei pesi che
venivano caricati giornalmente.
Questi orologi vennero montati su torri civiche e
cattedrali e sulle chiese dei monasteri più importanti: diventarono strumenti
molto importanti per regolare la vita di tutta la comunità religiosa e
cittadina.
Sino a quel tempo il periodo di luce, il dì, veniva diviso
in dodici parti ed ugualmente la notte. Solo che le ore diurne non risultavano
della stessa durata di quelle della notte, differenza che si aveva anche fra le
ore estive e quelle invernali.
Invece questi
orologi meccanici, muovendosi di moto uniforme, imponevano di usare ore sempre
uguali. Per cui si adottarono ore che avevano una durata media come quella
degli equinozi, le così dette horae aequinoctiales.
Il giorno venne sempre diviso in ventiquattro ore ma
tutte uguali e secondo la tradizione biblica il nuovo giorno iniziava al calare
della notte. Queste ore si cominciavano a contare da 0 a 24, a partire dal tramonto
fino al tramonto successivo. Tale metodo si diffuse moltissimo, specialmente in
Italia: perciò si parlava di ore italiane o ore all’italiana.
Una testimonianza importante è riportata da Goethe
durante il suo viaggio nella Penisola: fu favorevolmente impressionato da
questo modo di contare le ore, tanto diverso da quello tedesco, che scrisse:
«Qui, al calar della notte, è veramente passato un giorno ch’è consistito di
sera e di mattina, sono state vissute ventiquattro ore, comincia un nuovo
conto, suonano le campane, si recita il rosario...
Questo momento cambia ad ogni stagione, e l’uomo, che
qui vive di vera vita, non può sbagliarsi, perché in ogni istante di godimento
della vita non si rifà all’ora segnata, ma all’ora del giorno. Se si
costringessero costoro al sistema orario tedesco, gli si confonderebbero le
idee, perché il sistema che usano è strettamente contesto alla natura in cui
vivono».
Goethe riconosceva al metodo delle "ore italiche" il
vantaggio di far vivere i cittadini non alle dipendenza di un meccanismo ma più vicini ai ritmi della natura.
Il metodo fu abolito, in Italia, dopo l’Unità. Però, a
dire il vero, in Sicilia resistette ancora per un cinquantennio!
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